Bruna Peyrot
La Resistenza nelle Valli valdesi non fu riconosciuta come "valdese", né nella sua organizzazione, né nelle sue esplicite motivazioni. La Resistenza fu un avvenimento, un'esperienza politica totalmente laica. Tuttavia nelle Valli valdesi si verificò un'alta adesione di giovani, contadini e intellettuali, fra le sue fila. Molti partigiani, se intervistati, sottolineano la spontaneità dì una scelta che, si dice, non poteva che essere dalla parte della "montagna". In realtà c'è da chiedersi se dietro questa apparente naturalezza non preesista un'abitudine alla scelta che provenga da una lunga educazione protestante centrata sul protagonismo individuale e l'autorganizzazione. Molti, inoltre, rimproverano alle dirigenze valdesi, specie al Sinodo, di non aver mai preso ufficialmente posizioni contrarie al regime fascista. Dobbiamo però pensare alla difficoltà dei tempi quando anche per piccole infrazioni quotidiane all'ordine stabilito si rischiava la vita; la censura colpiva chiunque manifestasse il più piccolo segno di divergenza.
Bisogna dunque considerare il comportamento delle chiese nella loro quotidiana gestione e nei momenti di ufficialità. Per i primi possiamo incontrare molteplici strategie pastorali, per i secondi il silenzio, ma I' "ecclesia silens" (Viallet, 1985) se può venir giudicata sul piano etico come assenza di capacità profetica, sul piano storico ben si può comprendere la sua necessità di autodifesa e di salvaguardia di un'istituzione minacciata dal totalitarismo fascista, penetrante sin nelle coscienze individuali, nello stile di convivenza familiare, nelle relazioni sociali trasformate in parate rituali del potere. Nelle Valli, in ogni caso, la Resistenza ebbe le "fasi" osservabili in quasi tutte le vallate alpine dell'Italia settentrionale. Dopo I'8 settembre, ad una prima sensazione di totale sbandamento in cui mancavano i punti di riferimento politico, seguì una rapida organizzazione delle bande partigiane che si davano alla macchia, rifornendosi di armi e vettovaglie recuperate dalle prime imboscate ai presidi fascisti o alle caserme. Di fronte ai partigiani c'era la prospettiva di un lungo e rigido inverno senza la sicurezza di poter resistere. Intanto in Italia si consumava la disfatta più totale delle forze politiche badogliane e fasciste. Dopo il 25 luglio e dopo ancora I'8 settembre, i nazisti fecero confluire in Italia 26 divisioni preparandosi ad occuparla. Badoglio e la monarchia non avevano alcun piano predisposto per difendere l'Italia dall'occupazione. La penisola, infatti, dopo lo sbarco alleato in Sicilia ed il progressivo procedere delle forze alleate, rimase divisa in tre parti, il sud sotto controllo angloamericano, il centro occupato dai tedeschi e il nord percorso dalla guerriglia partigiana. Nelle Valli, fra i molti fatti ed episodi salienti che si potrebbero ricordare e che i testimoni protagonisti narrano ancora oggi con grande efficacia citiamo il rastrellamento dal 21-24 marzo 1944 in vai Pellice che portò alla distruzione della banda del Bagnòou, la sede anche del foglio clandestino «II Pioniere». Poi la battaglia di Pontevecchio in vai Luserna (21 marzo 1944) dove operava la 105° Brigata d'Assalto Garibaldina "Carlo Pisacane". Mentre in vai Pellice operavano oltre alla testé brigata, una decina di bande facenti capo a "Giustizia e Libertà", in vai Chisone operavano le brigate autonome: una varietà di orientamenti che a poco a poco converge su alcuni obiettivi ed intenti comuni, come la necessità di unificare i comandi in vista della liberazione dal nazifascismo e la partecipazione ai costituendi C.L.N. (Comitati di Liberazione Nazionale), aperti a tutte le forze politiche. Come si comportarono le parrocchie valdesi durante la Resistenza? Potremmo osservare il problema da più punti di vista. Uno potrebbe essere la ricostruzione delle strategie pastorali concrete operate nel suddetto periodo.
Ad esempio il pastore Ermanno Rostan (1908-1984) svolse con passione il ruolo di cappellano militare viaggiando sui vari fronti militari aperti dall'Italia in guerra per tenere in contatto i soldati valdesi fra loro e per non far venir meno il contatto anche con le reciproche comunità di appartenenza, offrendo loro, in ultima analisi la speranza di una continuità con un mondo religioso in un contesto di grandi rotture politiche, sociali, esistenziali. Un altro pastore, Achille Deodato (1907-1990) tenne memoria dell'arrivo degli americani a Napoli, del suo ruolo di coordinatore e curatore spirituale per i suoi parrocchiani in momenti bellici difficili e disorientanti. E il pastore Gustavo Bertin (1904-1991) scrisse in un diario giorno per giorno gli avvenimenti che colpirono in particolare la parrocchia dove svolgeva il suo ministerio, San Germano Chisone. Si aggiungerebbero ancora altri cento esempi, ognuno dei quali aiuta a capire come il ministro di culto valdese ha concepito durante gli anni di guerra il proprio impegno vocazionale. Così come accanto ai pastori si devono accompagnare i nomi di tantissimi laici che hanno fatto la scelta partigiana. Tutti hanno il diritto di essere ricordati, non soltanto quelli entrati nella storia "ufficiale" della Resistenza. Resto convinta infatti che un periodo così complesso, così contraddittorio, così breve anche, debba essere ricostruito a partire dai percorsi biografici di ognuno per ritrovarne continuità e rotture con il passato, l'energia per il nuovo, le paure e il non detto: si tocca, è vero, una sfera che è ancora poco studiata, non immediatamente politica, né eroica. Ma soltanto così potremmo aggiungere del "nuovo" a quanto fin qui sappiamo di un periodo come il 1940-45 così fondante per la storia italiana e così abusato.